Malattie del sangue, degli organi emopoietici e della milza, Coagulopatie, Immunologia Clinica
Grignani - Notario - Nenci - Del Prete
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Sono trascorsi oltre 20 anni da quando, nella primavera del 1977, vedeva la luce il primo volume del Manuale di Medicina Interna. A parte le inevitabili usure del tempo che nel suo frettoloso cammino tutto cancella o tutto rinnova, indifferente sia alle macerie che lascia lungo il suo percorso che ai nuovi traguardi che si intravedono sul suo orizzonte, non si può non riconoscere che nel frattempo straordinari mutamenti si sono verificati nell’orientamento del pensiero medico-biologico, sia sul piano speculativo che su quello tecnologico, e che con tutta verosimiglianza gli anni 2000 saranno caratterizzati da ulteriori cambiamenti delle regole, delle finalità e della filosofia che, con l’abbandono dei vecchi e superati schemi, guideranno e contraddistingueranno il nuovo corso della ricerca scientifica e tecnologica, e porteranno, accanto all’acquisizione di nuove ed originali informazioni, presumibilmente anche al perfezionamento ed al potenziamento delle conquiste e dei progressi che hanno movimentato ed illuminato gli ultimi mesi del secolo testè giunto al suo epilogo.
Basti pensare in primo luogo all’interesse sempre crescente, e più che mai ancor oggi di attualità, degli studi immunologici impostati e condotti con tecniche originali mai prima sperimentate, che hanno conferito nuovo e vigoroso impulso alla modernizzazione di una disciplina così complessa ed interessante, ma rimasta statica ed enigmatica, ancorata, com’è risultata per sin troppo lungo tempo, agli schemi ed ai canoni classici formulati dai primi studiosi della materia; basti pensare al ruolo di centralità che l’Immunologia ha rivestito, in combinazione con altre discipline emergenti, nel condizionamento delle più importanti acquisizioni che hanno segnato lo sviluppo delle nostre conoscenze nel corso degli ultimi 3-4 decenni, e che hanno soprattutto condotto alla formulazione di nuove e più convincenti interpretazioni dell’essenza patogenetica di molti processi morbosi.
È così avvenuto che, con i nuovi mezzi di studio che sono stati posti al servizio dello sperimentatore e con i nuovi obiettivi che la ricerca ha cominciato a proporsi, questa abbandonasse gradatamente il carattere artigianale che ne aveva costituito nel passato la nota dominante e si indirizzasse verso traguardi che per il passato – un passato anche recente – venivano ritenuti non solo irrealizzabili, ma addirittura improponibili.
Contemporaneamente all’esplosione degli studi immunologici, che dominavano la scena, iniziava, anche nel campo della ricerca farmacologica, una stagione particolarmente felice e feconda, nel corso della quale si è avuta la realizzazione di numerosi nuovi ritrovati terapeutici, nell’ambito delle varie patologie di organo, messi subito a disposizione del medico nella sua quotidiana secolare lotta contro i danni indotti nell’organismo dalle varie noxae patogene.
Ma accanto ai nuovi orientamenti degli studi immunologici ed alle fortunate realizzazioni in campo farmacologico, che hanno movimentato la storia della medicina nel corso della seconda metà del secolo appena concluso, v’è un’altra disciplina di nuova impostazione, senza precedenti storici di sorta, che, per quanto ancora anagraficamente giovanissima, è balzata prepotentemente alla ribalta, inaugurando – si può ben dire – una vera rivoluzione culturale, quanto a mobilitazione di idee e di tecnologie, disciplina della quale non è ancora possibile prevedere gli sviluppi e gli sbocchi finali che potrebbero essere ad essa riserbati. Intendiamo riferirci alla Bioingegneria genetica e, per essa, alle malattie ereditarie, di cui prima si possedevano solo vaghe nozioni empiriche, ma di cui nulla o ben poco di sicuro si conosceva, delle quali non si era in alcun modo in grado di prevenire la comparsa o contrastare l’evoluzione e di cui per la prima volta si riesce ad arrivare – tappa importantissima sotto molteplici aspetti – al riconoscimento già durante la vita fetale (diagnosi prenatale) con l’ausilio di tecniche ultrasofisticate (tecnica del DNA ricombinante). Da questo traguardo che ha segnato uno snodo importante nella storia delle malattie su base genetica, è scaturito un vasto movimento di idee e di programmi che doveva sfociare nella realizzazione di importanti presidi biofarmacologici, grazie anche qui all’applicazione di tecnologie avanzate se non avveniristiche. È proprio sulla Bioingegneria genetica, della quale non sono state ancora definite ed ancor meno valutate le potenzialità evolutive che dominano attualmente gli scenari della Biologia e, di riflesso, anche della Clinica, che si polarizza oggi l’interesse del ricercatore, sia esso biologo o medico; è intorno a questa disciplina che si sta, tra lo sconcerto e l’ammirazione degli stessi protagonisti che ne promuovono lo sviluppo, tra lo stupore e la mal celata apprensione della stessa opinione pubblica che segue con evidente interesse il succedersi degli eventi, alimentando vivaci polemiche sulle finalità, sui compiti, sui limiti e sulle regole che la Bioingeneria genetica deve porsi ed imporsi. In realtà, non sono mancate, sin dai primi significativi successi, le dispute sulla stessa liceità morale degli obiettivi che la Bioingegneria genetica si propone di raggiungere e sulle modalità con cui tali obiettivi vengono raggiunti; il punto cruciale essendo rappresentato dalle manipolazioni del patrimonio genico, che giustificate, ove orientate a correggere i difetti che condizionano la configurazione di un vero e proprio processo morboso capace di incidere più o meno gravemente sulla salute e sulla stessa esistenza del soggetto che ne è colpito, potrebbero, in altre circostanze, ove mirate a cambiare i connotati fisiologici dell’individuo, sia che si tratti di stimolazioni che di inibizioni di geni normali, portare a dei risultati aberranti passibili di essere sfruttati per scopi politici o razziali o altri scopi che nulla abbiano a che vedere con le finalità istituzionali della ricerca.
La realtà è che, avendo la vecchia ricerca, quella tradizionalmente concepita e realizzata, esaurito le sue possibilità di accesso a nuovi e più moderni obiettivi, i campi ancora da esplorare erano andati con il tempo sempre più sensibilmente restringendosi, ed il bivio cui si era giunti avrebbe potuto essere così sintetizzato: rinnovarsi o fermarsi; inaugurare una nuova era ed intraprendere una ricerca di stampo moderno, proiettata verso il futuro piuttosto che ancorata ad un passato ormai definitivamente superato; dare l’avvio ad una nuova stagione o abdicare una volta per tutte a qualsiasi possibilità di sopravvivenza.
L’esempio dell’Anatomia Patologica, vecchia maniera, è, al riguardo, quanto mai illuminante. In oltre due secoli di assoluto predominio – assumiamo, ovviamente, come punto di riferimento, l’era veramente straordinaria iniziata con le magistrali osservazioni del Morgagni –, l’Anatomia patologica aveva impresso un’orma esclusiva alle nostre conoscenze circa il corrispettivo anatomico delle più comuni ed importanti malattie: ma gradatamente anch’essa aveva visto ridursi il suo campo di azione ed esaurire le sue possibilità di sviluppo, abbandonando fatalmente alla fine quella posizione dominante che aveva occupato nella diagnostica post mortem (“Hic mors gaudet succurrere vitae”, era la scritta che frequentemente si vedeva indicata a caratteri cubitali sulla porta di accesso alle sale incisorie) delle più diffuse malattie che avevano caratterizzato le varie fasi del suo splendore. Neppure l’avvento della microscopia elettronica valse a rianimare l’interesse ed il prestigio dell’Anatomia patologica. L’era cellulare della medicina volgeva rapidamente al suo definitivo tramonto e nulla avrebbe potuto ripristinare quel potere che si era gradualmente consumato nel tempo. Neppure dunque la conoscenza delle alterazioni delle fini strutture subcellulari che accompagnano l’evolversi della malattia in tutte le sue fasi, alterazioni invisibili al microscopio ottico, ma chiaramente evidenziabili al microscopio elettronico, valse a rinverdirne l’immagine ed a conferirle un impulso innovativo. In compenso, però, l’Anatomia patologica continuava e tuttora continua a mantenere il suo ruolo preminente ed insostituibile nella diagnostica bioptica ove conserva tuttora una posizione, che difficilmente potrà essere oscurata ed esautorata di ogni importanza.
La realtà è che, pur con le riserve dianzi indicate, il dominio incontrastato della morfologia nel riconoscimento delle malattie è giunto al suo capolinea terminale, ed ha subito un erosivo processo di ridimensionamento, anche e non ultimo perché quelle che richiamano oggi la particolare attenzione degli studiosi non sono tanto le lesioni anatomiche rimaste sostanzialmente invariate nel tempo, quanto le specifiche alterazioni biochimiche spinte sino a livello molecolare che si rinvengono a livello delle strutture cellulari e subcellulari danneggiate dalla noxa patogena: la dinamica delle lesioni biochimiche al posto della staticità delle alterazioni morfologiche.
Non è che la Bioingegneria genetica, con tutte le potenzialità di sviluppo che ad essa vengono oggi accreditate, sia stata improvvisamente partorita: il parto è stato preceduto da un lungo e laborioso travaglio di idee e di nuovi fermenti propulsivi, nel corso del quale erano state coinvolte e sollecitate a fornire il loro prezioso e spesso determinante contributo tutta una serie di discipline, alcune vecchie, anche se in versione rinnovellata ed adattata al mutato spirito dei tempi ed alle nel frattempo cambiate conoscenze, altre invece affatto nuove, appena nate, che insieme avevano creato con i loro postulati ed i traguardi progressivamente raggiunti le premesse tecniche e culturali per la nascita e lo sviluppo dell’Ingegneria genetica: intendiamo riferirci alla Biologia molecolare, all’Immunologia cellulare e molecolare, alla Genetica medica ed alla Immunogenetica, alla Biochimica molecolare, all’Enzimologia, alla Microbiologia ed alla Medicina nucleare.
Chi voglia oggi accingersi allo studio della Medicina in generale, della Medicina Interna in particolare, non può restare avulso e prescindere (a meno che non voglia per sua spontanea scelta autoemarginarsi dall’agone scientifico e professionale) dalla conoscenza dei progressi basilari che sono stati realizzati nel corso degli ultimi 20-30 anni, non solo per quel che concerne la patologia ereditaria che assorbe una parte non insignificante della medicina interna (diagnosi prenatale, tentativi di terapia genica mediante microtrapianto di geni artificialmente assemblati in sostituzione di quelli anomali, causa della malattia), ma anche disponibilità di alcuni preziosi biofarmaci sintetizzati con la tecnica del DNA ricombinante, farmaci che per il passato o erano inesistenti o non potevano essere largamente utilizzati a motivo della scarsissima quantità con cui erano reperibili, nonché per l’altissimo costo di produzione da cui erano gravati, produzione che seguiva i tradizionali metodi di isolamento, identificazione, estrazione e purificazione dai tessuti di origine.
Questo vale non solo per i farmaci prima scarsamente disponibili ed in ogni caso disponibili in quantità largamente insufficienti a soddisfare le richieste, come l’interferone e l’ormone somatotropo. Per quel che riguarda l’insulina, di gran lunga più facilmente reperibile sul mercato, attraversò anch’essa durante il periodo bellico una grave crisi di disponibilità, che ebbe serie conseguenze sul destino di molti diabetici impossibilitati ad approvvigionarsi di tale insostituibile presidio curativo, crisi che oggi sarebbe stata sicuramente scongiurata facendo ricorso all’impiego di insulina realizzata con la tecnica del DNA ricombinante, che, oltre tutto, è sprovvista dei ben noti inconvenienti legati all’insulina naturale.
Lo stesso vale per alcuni fattori della coagulazione e della fibrinolisi come il fattore VIII e IX, l’urochinasi, l’attivatore tissutale del plasminogeno che hanno significativamente inciso sulle speranze di vita degli emofilici, dei pazienti affetti da infarto acuto del miocardio e da trombosi acute dei vari distretti vascolari.
L’attenzione, come si vede, è stata fermata sui vantaggi e benefici diagnostici e terapeutici, su cui si può fare oggi assegnamento grazie alle realizzazioni della Bioingegneria genetica, che hanno sensibilmente migliorato l’evoluzione e la prognosi di alcune importanti malattie, con particolare riferimento ai processi morbosi geneticamente condizionati, per molti dei quali è possibile oggi contare su specifiche metodiche di riconoscimento dell’anomalia ereditaria e sulla sperabile possibilità di correggerla con la sostituzione del gene anomalo con un gene artificialmente allestito munito di tutte le caratteristiche biochimiche e funzionali del gene normale; ma avremmo dovuto egualmente porre l’accento sugli altri progressi che hanno contribuito a migliorare le prospettive di vita di molti ammalati prima non suscettibili di alcun valido trattamento.
Basti pensare alla realizzazione ed all’utilizzazione terapeutica di nuove categorie di farmaci, ottenuti con metodi tradizionali, come i calcio-antagonisti, i beta-bloccanti, per non parlare delle interleuchine e dei fattori di crescita, peraltro anch’essi ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante, e di nuove classi di antibiotici e chemioterapici che hanno notevolmente arricchito l’arsenale terapeutico delle emoblastosi maligne, in particolare, dei tumori, in generale, così come avremmo dovuto per lo meno accennare al validissimo supporto costituito dal trapianto di midollo, di cui si fa oggi largo uso per la cura di molte emolinfopatie maligne.
Per quel che riguarda in particolare la pratica dei trapianti di organo, verso cui ovvio è l’interesse degli internisti, non possiamo esimerci dal ricordare come anche i trapianti di cuore abbiano ormai largamente superato la fase sperimentale e costituiscano oggi un approccio terapeutico da ultima spiaggia, al quale, compatibilmente con la disponibilità dell’organo da trapiantare, si fa frequentemente ricorso, così come non si contano più i trapianti di rene, così numerosi essendo ormai i pazienti che debbono il ritorno ad un regime di vita condizionato, si, ancora da alcune limitazioni, ma gioiosamente vissuto dagli interessati. Negli ultimi anni abbastanza frequenti sono state anche le segnalazioni di trapianti di fegato, di polmone e più di recente anche di pancreas, mentre ancora più recenti sono quelle concernenti la pratica dei trapianti multipli.
È dunque una vera, pacifica rivoluzione quella cui stiamo assistendo, che ha condizionato e movimentato lo sviluppo della medicina nel corso degli ultimi 2-3 decenni: se l’espressione fosse lecita, si potrebbe dire che si è trattato di un vero terremoto che ha scosso le fondamenta della medicina tradizionale e che questo terremoto non si è ancora arrestato per le inesauribili potenziali riserve di attività di cui appare dotato.
Era perciò indispensabile – e non poteva essere diversamente –, che in un testo come il nostro che più che al passato guarda al futuro, lo studente ed il giovane medico fossero sia pure superficialmente informati dei nuovi scenari che si stanno dischiudendo allo sguardo stupefatto del ricercatore, e dei nuovi compiti che attendono le nuove leve di medici nel decennio iniziato con gli anni 2000, anche nel campo della clinica.
Noi ci auguriamo e speriamo ardentemente che i lettori del nostro “Trattato di Medicina Interna” accolgano la nostra sollecitazione perché si assicurino e premuniscano con una preparazione clinico-biologica, che più che fondarsi sulle conquiste del passato (anche se questo ha ancora molto da insegnarci), si proietti soprattutto verso il futuro, con l’auspicio che questo futuro porti presto al raggiungimento di nuovi traguardi ed alla conquista di nuove mete che preservino l’umanità – o per lo meno ne attenuino l’impatto – dall’aggressione delle malattie che ancora numerose – affezioni tumorali, in testa – attentano insidiosamente alla salute dell’uomo, quando non ne mettano addirittura in pericolo la stessa esistenza.
Prima di concludere questa presentazione della seconda edizione della nostra di Medicina Interna, che pensiamo possa essere utilmente integrata dalla lettura di quanto implicito nella prefazione alla prima edizione, mi sia consentito esprimere il mio più vivo e grato apprezzamento e la più viva riconoscenza per il prezioso ed inestimabile aiuto che, nella realizzazione della mia ultima fatica editoriale mi è stato generosamente offerto da tutti i miei carissimi allievi e compagni di lavoro non pochi dei quali assurti da tempo alla dignità della cattedra, che hanno trascorso al mio fianco, in comunità di opere e di intenti, nella buona e nell’avversa fortuna, un lungo arco della loro vita, sino al giorno, per me tristissimo, del mio collocamento fuori ruolo per raggiunti limiti di età – queste forche caudine che si abbattono impietosamenete sul capo anche di chi solo nel lavoro a lui congeniale ha trovato la piena realizzazione degli ideali di vita da sempre agognati e che sarebbe stato felice di continuare a porre le proprie energie e le proprie esperienze al servizio della società – condividendo con me speranze e delusioni, amarezze ed entusiasmi, esaltazioni e disinganni e contribuendo in maniera determinante a dare un senso ed uno scopo alla mia quotidiana fatica.
Ma la mia riconoscenza si estende a tutti i Colleghi di estrazione diversa dalla mia che hanno assicurato la loro entusiastica, amichevole collaborazione a questa seconda edizione dell’ormai vecchio e, per molti aspetti superato manuale di Medicina Interna. In tale ottica un ringraziamento particolare materiato di stima e di ammirazione, per l’altissimo livello della sua personalità di studioso e di maestro vorrei rivolgere all’amico Giorgio Macchi di recente strappato al nostro affetto, alla nostra stima ed alla nostra ammirazione per alcuni anni mio collega di Facoltà a Perugia, che con il coinvolgimento di insigni esponenti della sua Scuola, ha voluto curare, come sempre, in maniera magistrale il volume dedicato alle malattie del sistema nervoso.
Infine, all’Editore dottor Massimo Piccin, da parte mia e di tutti gli Autori delle singole sezioni del trattato, l’espressione della più viva e sincera gratitudine per l’impegno profuso e per l’onere non lieve cui egli nel solco della migliore tradizione della sua Casa Editrice, si è sobbarcato sovraintendendo con encomiabile zelo ed ammirevole dedizione alle varie fasi della gestazione e della realizzazione tecnica dell’opera.
PAOLO LARIZZA
Milano, luglio 2000
Nel pieno rispetto delle disposizioni ricevute dal Prof. Paolo Larizza nel passaggio delle consegne, questa nuova edizione del Trattato di Medicina Interna è stata sottoposta ad un’ampia e approfondita revisione con la ristesura della maggior parte dei capitoli ad opera di qualificati cultori della relativa materia.
Alcuni capitoli delle malattie del sangue elaborati personalmente dal Prof. Paolo Larizza per questa edizione, dopo la sua morte sono stati ulteriormente rivisti e aggiornati come da suo espresso desiderio.
A. NOTARIO M. PICCIN
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