L’esame di Biochimica: briciole di conoscenza, logica e buon senso per evitare pericolosi luoghi comuni
Umberto Mura
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PREFAZIONE
Dopo anni di frustranti esperienze maturate in seno a commissioni d’esame di una materia affascinante e coinvolgente come la Biochimica (opinione non condivisibile, ma fortemente sentita da chi scrive) direi che è giunta l’ora di dare risalto ad alcuni tristi,
ma a volte anche divertenti aneddoti in cui ci si imbatte con incredibile frequenza durante gli appelli d’esame di questa disciplina. Sono storie ritrite che non vorremmo più ascoltare, ma che ogni volta, è più forte di noi, evochiamo nell’esaminando sperando che la storia cambi; ma, proprio come accade per le barzellette che ci piacciono molto e non disdegniamo sentircele riproporre, la storia si ripete. Alcuni concetti forse perché mal posti nei testi di riferimento o non sufficientemente enfatizzati da noi docenti a lezione o semplicemente perché affrontati troppo superficialmente da chi studia, sembra non trovino terreno fertile per attecchire e diventare bagaglio di conoscenza dello studente che si affaccia alla disciplina.
Per essere chiari parliamo di quelle considerazioni che dovrebbero emergere tra un rigo e l’altro del testo durante lo studio, quegli auspicabili segnali di studio maturo che, nel ruolo di esaminatori, si auspica ricevere da uno studente a livello universitario e che
invece restano nell’ombra per palesarsi in modo nefasto alla data fatidica della prova d’esame. Una caduta di senso critico della quale lo studente esaminando sembra non voler cogliere l’importanza tanto da farsi trovare ripetutamente impreparato.
Come spesso accade per altre discipline, anche per la Biochimica lo “studio della materia” si trasforma per molti studenti nella “preparazione all’esame della materia”. Per quanto sia possibile non superare l’esame pur conoscendo la materia, così come superarlo senza grandi conoscenze (così è la vita) è fuor di dubbio, almeno per la Biochimica, che un approccio non vale l’altro. È sufficiente seguire qualche appello d’esame per convincersi che lo studio della materia è sicuramente il più remunerativo. Se può essere comprensibile che ragioni di vita e di lavoro o più semplicemente la pressione della progressione di carriera non consentano allo studente di sviscerare con tutti i “perché” e i “percome accada” quel che accade, e quindi si sorvoli su certi argomenti (che “tanto … non li chiede mai”), è meno comprensibile il porsi davanti ai propri appunti o alle slides proiettate a lezione (il tanto caro materiale didattico) e pensare che tutto possa risolversi imparando diligentemente la “storia” da raccontare. Storia che verrà raccontata prima a sé stessi, magari tante volte e di corsa, e poi all’esaminatore, senza la benché minima cognizione di ciò di cui si sta parlando.
Vorrei sottolineare, a questo punto, che lo stimolo a scrivere questa raccolta di “briciole di conoscenza” non viene né dagli Studenti (“S” maiuscola) che durante lo studio certe domande se le sono poste, che hanno almeno cercato di trovare un equilibrio tra sapere e mostrare di sapere, né, all’estremo opposto, viene da quella coorte di “Giocatori d’azzardo” che si presenta all’esame anche in modo reiterato, ma con la consapevo lezza di non sapere. Lo stimolo, dicevo, viene invece da quegli studenti, che hanno letto,
riletto e letto ancora quello che il programma d’esame ricorda di dover essere saputo, quelli che si affidano esclusivamente alla memoria, che sciorinano lunghezze di legame o angoli di rotazione alla terza decimale senza essere certi di ciò che quel legame implichi, che definiscono in modo corretto un parametro, ma che non hanno la minima idea di ciò che stanno definendo, quelli la cui scusante per una figuraccia è non aver fatto in tempo a ripetere il giorno prima proprio l’argomento su cui sfortunatamente si sono imbattuti e che hanno come unica curiosità quella della data in cui possono ripetere la loro performance. Questi studenti che chiamerei “Narratori”, sono quelli ai quali la domanda deve essere fatta in termini molto vicini al titolo del paragrafo del libro o dell’argomento della lezione, quelli che scrivono la formula di un composto in modo diverso a seconda del contesto, solo perché l’editore del libro aveva trovato conveniente ruotare la formula di struttura per guadagnare spazio; quelli per i quali la neutralità di una soluzione è definita da pH 5,5 (e si stupiscono poi che non sia così) non rendendosi conto, forse, di avere registrato l’informazione dalla pubblicità di una saponetta. Il problema, per queste ragazze e ragazzi, sta nel fatto che la loro voglia di studiare e il loro studio (sono convinto infatti che essi spendano tempo sul libro o sugli appunti presi a lezione o anche sulle domande accuratamente annotate durante le prove d’esame di loro colleghi) non sia supportata da adeguato senso critico verso ciò che stanno studiando. Una carenza grave per uno studente universitario che combinandosi con un’altrettanto diffusa carenza di concetti di base necessari allo studio della Biochimica, genera una miscela esplosiva. A scanso di equivoci, non vorrei che questa classificazione della popolazione studentesca possa suonare in alcun modo offensiva nei confronti della persona. Non è questa di certo la mia intenzione e non esistono pregiudizi di sorta quando dall’analisi generale, si passa, qualunque sia il momento didattico, al rapporto individuale con lo studente di turno. Essa vuole essere un modo volutamente ironico di rappresentare una situazione, purtroppo diffusa, di approccio sbagliato allo studio della Biochimica, verificata sia personalmente che dal confronto con l’esperienza di colleghi con cui ho avuto la fortuna di interagire, che, quanto il sottoscritto, hanno a cuore e si spendono per il
corretto apprendimento della disciplina.
È assolutamente necessario tentare una cura affinché i Narratori vengano dissuasi dal loro modo di procedere, prima che considerazioni mai fatte o argomentazioni mal poste si insinuino a tal punto nel loro bagaglio di conoscenze da diventare verità (la
neutralità a pH 5,5 docet). Mi sono quindi detto se non fosse stato il caso di provare a mettere nero su bianco, in modo anche semiserio, un certo numero di fonti di rischio della conoscenza che aiutino lo studente a risolversi da dubbi e incertezze per meglio
conoscere la materia e meglio dimostrare la sua preparazione all’esame di biochimica.
Un’operazione nella quale, magari sentendosi coinvolto, il Narratore si senta stimolato a partecipare attivamente ad arricchire, personalizzandola e quindi pensandoci su, la lista dei luoghi e pensieri cattivi da evitare. È una speranza. Peraltro, credo che forse
anche chi insegna Biochimica, o si appresta a farlo, possa trovare tra le righe di questa chiacchierata qualche elemento di riflessione utile nella impostazione di alcuni passaggi della sua azione didattica.
Infine, non avendo pretese di esaustività e propedeuticità stringenti degli argomenti trattati, che vanno cercate, nemmeno a dirlo, sui testi (non sul testo) di riferimento della materia, mi sono sentito libero di procedere a spanne, saltabeccando tra le “briciole”,
fornendo qualche spunto di discussione, argomentando o solo accennando ad argomenti seri e semiseri, con la stessa impredicibilità con cui mi si sono presentati, parlando di scienza, con esperti del settore ma soprattutto con apprendisti non ancora “addetti ai lavori”.
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